

Fu un esodo. Trentamila persone nello spazio di tre anni -diecimila all’anno - venimmo portati quaggiù dal Nord. (…)
Sembrava il deserto e la nonna dei Toson - con cui avevamo fatto il viaggio assieme e che stanno tutt’ora due poderi più in là del nostro - appena la sbarcarono dal camion disse proprio: « Ma qui ghe xè il deserto » e scoppiò a piangere ed urlare. (…)
« Non mi lascerete mica qua » - quando toccò a lei scendere dal camion si riguardò solo un attimo intorno, giusto il tempo di vedere la striscia di montagne a una quindicina di chilometri verso levante, una striscia celeste ma incombente, poiché da qui a quella non c’era nient’altro, non un albero, niente, tutto spoglio di qua e di là all’orizzonte: il vuoto assoluto.
Solo quella striscia celeste a levante - le montagne - e poi l’argine del Canale Mussolini. Argine nudo però - terra smossa senza neanche un filo d’erba - non un argine ma un tumulo, una tomba fresca senza neanche la croce. E casette nel piano celesti - celesti come le montagne - ma vuote, senza vita, senza nessuno dentro, senza un albero accanto; sparse nel piano, una qua e una là, vuote e tutto il piano di fango, terra smossa senza un’ombra di verde, senza una riga d’oglietto o gramigna; un deserto, un deserto di fango.
Tratto da Canale Mussolini di Antonio Pennacchi
© 2016 - Francesca Cervasi - credits